S. PIETRO IN SCHIO – S. Pietro Apostolo (29 giugno)
Chiesa arcipretale – er sec. XIII – sm 206 – km 25 – vc Schio – ab. 7.800 (di cui non catt.
1.600) – fm 3.800
Indirizzo: Via Cavour 3 – 36015 Schio (VI) – tf 0445 521103 fax 527819
e-mail: sanpietro.schio@parrocchia.vicenza.it

Religiosi: Salesiani di don Bosco (1901): ISTITUTO SALESIANO “Don Bosco” con 8
religiosi (5 sac. + 2 fr.+ 1 st.): oratorio, centro giovanile, C.F.P. e cappellania per cattolici
africani di lingua inglese, Via Marconi 14; tf 0445 521173 fax 0445 527622.
Religiose: Figlie della Carità Canossiane (1864): ISTITUTO CANOSSIANO con scuola
dell’infanzia e primaria e accompagnamento pellegrini, catechesi, con 9 religiose, Via A.
Fusinato, 51; tf 0445 521044 fax 0445 504475 – canossianeschiocomunita@gmail.com.
Piccole Figlie di S. Giuseppe (1913): ospitalità e assistenza ragazze orfane o in situazioni
difficili, ospitalità anziane con assistenza a domicilio con 4 religiose;

CASA PANCIERA “Istituto S. Giuseppe”, Via Pasini, 24, tf 0445 521221 – fax 0445 521207 –
casapancieraschio@piccolefigliesg.it.
CHIESA DELLA B.V.M. INCORONATA, Via Pasubio, 50.
CHIESA DI S. ANTONIO ABATE, Via Pasini, 82.
CHIESA DI S. GIACOMO, Via Cavour, 52.
CHIESA DI S. Nicolò, V. Cappuccini, 52; tf 0445 520689 (custode). Sede di attività
pastorali per i fedeli della zona (“Comunità S. Nicolò”). Responsabile: l’Arciprete di S.
Pietro in Schio.
LIBRERIA IMMACOLATA; Via Cavour; 48; tf 0445 523369.
SERVIZIO TOSSICODIPENDENZA, “Casa della Provvidenza”, Via XXIX Aprile, 29;
diretto da Ronconi don Mariano, Presidente del Centro Vicentino di solidarietà Ce.I.S.
CENTRO PASTORALE PER IMMIGRATI CATTOLICI AFRICANI ANGLOFONI
(GHANESI E NIGERIANI) – Responsabile: Furlan don Gianni, sdb, tf 0445 521173, cll
366 5208451. Sede: Istituto Salesiano, via Marconi, 14.
CENTRO PASTORALE PER IMMIGRATI CATTOLICI ROMENI – Responsabile:
Mogda Mihaita don Petru, tf 0445 521103 – petronel84@yahoo.it. Sede: Chiesa di
Sant’Antonio Abate, Via Pietro Maraschin, 1.
SCUOLA DELL’INFANZIA “Maddalena di Canossa”, Via Fusinato 53; tf 0445
530557 – fax 0445 504475.

CENNI STORICI – storia civile

Il toponimo di Schio è frutto di una lunga evoluzione dell’antico termine Esculetum (bosco di querce) in Ascledum e successivamente in Scledum, documentato la prima volta in un atto imperiale del 983. L’area fu abitata fin dal neolitico, come dimostrano interessanti reperti di età paleoveneta, rinvenuti a Magré e legati al culto della dea Reiitia. I romani, che ne intuirono l’importanza strategica a difesa della X regio da infiltrazioni germaniche, la scelsero come sede di una stazione militare. Nel Medioevo i suoi attuali dintorni erano ricchi di castelli, motte o torri che ancora dominano parecchi centri rurali dislocati lungo la via romana di Schio, al centro della quale sul colle ancora chiamato Gorzone o Warzone (dal termine longobardo wardt=torre – vedetta), su cui c’è ora il Duomo, si elevava una postazione di guardia. In età medioevale, forse tra il X e l’XI secolo, sul colle prospiciente la chiesa di S. Pietro, sorgeva il castello dei Maltraverso, conti di Vicenza e decisi avversari del potere comitale vescovile, che aveva il suo centro locale nel castello vescovile di Pievebelvicino, nella cui difesa perse la vita il vescovo Pistore. La fortuna dei Maltraverso a Schio fu però eclissata dagli Ezzelini e soltanto dopo il 1259 l’antica famiglia feudataria poté riprendere, per mezzo secolo appena, il castello scledense.

Nel 1311 subentrarono in tutto il Vicentino gli Scaligeri e la dominazione veronese con l’investitura concessa ai Nogarola (1335) segnò un periodo di relativa calma e prosperità. Nel 1387 i Visconti soppiantarono gli Scaligeri e la signoria scledense tornò in mano ai Nogarola, cui era stato tolto nel 1381, sostituiti poi dal vicario imperiale Giorgio Cavalli (1397-1406). Questa apparente indipendenza politica finì nel 1406, quando gli scledensi si affidarono a Venezia e il leone marciano signoreggiò sul territorio scledense fino al 1797.

In questo complesso quadro di lotte politiche le signorie si erano progressivamente logorate, avvantaggiando i gruppi sociali più intraprendenti e attivi di Schio, i quali, compresa la loro forza contrattuale, nel XIII secolo, dopo un lungo travaglio riuscirono a costituirsi in un comune relativamente autonomo, di cui ci resta la redazione trecentesca degli Statuti (1393). La signoria veneziana, pur rispettosa delle tradizioni locali, ma assai gelosa della propria sovranità politica ed economica, ben comprendendo l’importanza del grosso acquisto, si guardò bene dall’assecondare la richiesta del Comune di Schio di poter circondare il borgo di fortificazioni e consentire la fabbricazione dei tessuti di lana pregiati, che da tempo ormai costituivano la fortuna dei tessitori scledensi e un motivo di attrito con le élites economiche di Vicenza. Fu così che iniziarono secoli di lavoro umile, ma tenace, interrotti solo dalle nefaste conseguenze della guerra di Cambrai (1514), e destinati a sfociare, solo nella seconda metà del XVIII secolo e sotto la minaccia di emigrazione dei più provetti tessitori all’estero, nella sospirata concessione, favorita anche dall’attività imprenditoriale del patrizio veneto Nicolò Tron. Ma ormai era troppo tardi: caduta Venezia, le dominazioni straniere francese e austriaca videro progressiva emancipazione sociale ed economica della città, grazie anche all’intraprendenza di alcuni autentici pionieri dell’industria tessile moderna, fra i quali nel XIX secolo emergeranno la figura e l’opera di Alessandro Rossi.

Il 4 novembre 1817 Schio ottenne dall’imperatore d’Austria l’ambito titolo di “città”, ma tale concessione non cancellò una vocazione unitaria sentita e vissuta da eminenti personalità della cultura fra i quali troviamo i fratelli Ludovico e Valentino Pasini e lo stesso Alessandro Rossi. Dopo la prima guerra mondiale (1915-18), che qui ebbe un avamposto nella linea del fuoco, il dopoguerra fu contrassegnato dai vivaci dibattiti sociali e politici cui parteciparono liberali e radicali, socialisti e cattolici. Verso la fine della seconda guerra (1944-45) Schio espresse un forte movimento antifascista, organizzato in robuste formazioni di resistenza; ma la liberazione fu macchiata da una cruenta rappresaglia nei confronti dei prigionieri politici chiusi nelle carceri mandamentali. La ricostruzione si svolse in un clima di ritrovata serenità, anche se non esente da problemi e da crisi.Storia religiosaLa parrocchia di S. Pietro, che fino agli anni Trenta coincise con la città di Schio nasce dalla matrice di S. Maria di Belvicino, centro di evangelizzazione di tutta la Val Leogra, in cui, almeno fino agli inizi dell’età comunale, ebbe sede il presbiterio della vallata; la prima testimonianza della presenza di una cappella sul colle Gorzone, su cui oggi troneggia il Duomo, è l’atto con cui il vescovo Liudigerio donò al monastero vicentino di S. Pietro la cappella di S. Pietro del Gorzone e il quartese della pieve de Ascledo, ponendo così le basi di un rapporto che con alterne vicende durò fino al 1797. Con l’erosione dell’unità pievana la cappella scledense, cresciuta d’importanza assieme al piccolo borgo subentrò come centro religioso della vallata all’antica matrice e le tracce della presenza dell’arciprete in città si infittiscono nell’età comunale, ma solo nel 1453 Uguccione (il 20° arciprete della serie a noi nota) celebrò a S. Pietro i riti battesimali del Sabato santo, prerogativa della pieve. Anche se le proteste dei rettori delle altre chiese furono immediate e forti, egli, forte dell’appoggio del Comune di Schio, non si piegò; da allora in poi l’archipresbyter plebis de Ascledo si trasformò nell’Arciprete di Schio ed ebbe dimora ufficiale presso la chiesa di S. Pietro, benché spesso vi rimanesse lontano per abitare a Vicenza e solo il rinnovamento seguito al concilio di Trento lo vedrà risiedere costantemente presso i propri fedeli.

La vitalità religiosa medioevale a Schio fece riferimento, oltre a S. Pietro, ad altre chiese, quali S. Martino, S. Giustina in Giavenale, SS. Trinità, S. Giorgio di Poleo e S. Nicolò (sede dal 1536 del primo convento cappuccino della diocesi). Ad esse dobbiamo aggiungere nel XV secolo numerose confraternite e altre fondazioni religiose, la cui presenza caratterizzò la vita cittadina nell’età della Repubblica veneta: S. Giacomo, (post 1408), con la Domus Dei dei Battuti, S. Francesco (1424) con l’importante convento francescano, S. Maria delle Grazie a Giavenale, affidata ai Servi di Maria (1482) e S. Antonio abate, presso cui si stabilirono le monache agostiniane (1492).

La rinascita seguita al concilio tridentino fu di stimolo per la vita pastorale in Schio, che pure aveva conosciuto i fermenti ereticali del primo ‘500: apparvero nuove fondazioni sia religiose (le Dimesse, fondate da Antonio Pagani nel 1598), sia caritative (la compagnia della Carità, dopo la pestilenza del 1575, il Monte di pietà, a partire dal 1567, o l’ospedale voluto dai fratelli Baratto nel 1611), che si affiancarono a quelle già esistenti, tanto che si può dire che tra XVI e XVIII secolo non esisteva scledense che non vi partecipasse attivamente e talvolta vi spendesse parte del proprio patrimonio. In questo contesto si colloca l’arrivo in città delle reliquie di santa Felicissima martire, donate nel 1702 dal protettore del Comune, Nicolò Erizzo. Gli anni conclusivi del ‘700 furono segnati , oltre che dalla soppressione del convento cappuccino e di quello servita di Giavenale (1769), anche dalla ricostruzione della chiesa di S. Pietro, decisa nel 1739, ma protrattasi per quasi quarant’anni, che la trasformò nella degna cornice del collegio canonicale costituito dal vescovo Luca Stella ancora nel 1634.

Giuseppe Manfrin Provedi (1785-1820), l’ultimo arciprete scelto dalla badessa di S. Pietro, dedicò quello che ormai si definiva duomo, prima di partire vescovo di Chioggia, avendo profuso energie e mezzi durante i difficili tempi seguiti all’arrivo di Napoleone e a la soppressione della collegiata, dei conventi francescano e agostiniano, di alcune chiese e alla demanializzazione dei beni delle confraternite. Fra i suoi successori del XIX secolo, si deve ricordare lo scledense Gaetano Greselin (1837-1874), il quale si trovò a vivere in una Schio che l’attività imprenditoriale ispirata da Alessandro Rossi stava mutando rapidamente sia sotto il profilo demografico, sia sotto l’aspetto politico e sociale. Egli guidò la vita della parrocchia con mano sicura e poté contare sull’arrivo a Schio delle Suore di Maria Bambina, attive dal 1852 all’ospedale, e delle Canossiane, dal 1864 attente all’educazione femminile (i Salesiani giungeranno nel 1901, le Giuseppine solo nel 1913), sulla presenza del monastero agostiniano (ricostituito nel 1839 e ancor oggi esistente) e sulla Collegiata (1851-1866). La conferenza di s. Vincenzo (1860-1868), che si accompagnò alla congregazione di s. Luigi (dal 1835), stimolò l’impegno del laicato in campo sociale, che, poi, per contrastare il diffondersi della propaganda socialista e antireligiosa, si riunì nell’Unione cattolica operaia (1881) prima organizzazione in diocesi di questo tipo.

Il nostro secolo ha visto succedersi sei arcipreti, diversi nel carattere, ma notevoli per preparazione intellettuale e per fervore pastorale; due di essi, però, hanno lasciato l’impronta più duratura. Il primo fu mons. Elia Dalla Costa (1910-1923), poi vescovo e cardinale, che, pur in tempi difficili, si applicò all’organizzazione del catechismo, secondo gli schemi predisposti mons. Rodolfi (1913) e non abbandonò il suo gregge neppure quando esso fu minacciato dalla prima guerra mondiale. La ricostruzione, morale più che materiale, seguita al conflitto è testimoniata dal Libro cronistorico che egli iniziò. L’altro fu mons. Girolamo Tagliaferro (1932-1957), la cui personalità dominò con forza il panorama religioso e sociale di Schio (lo testimoniano gli interventi sul bollettino parrocchiale che fondò e fece uscire anche nelle ore più cupe della guerra) e preparò l’erezione delle nuove parrocchie cittadine (Giavenale, 1932; Poleo, 1957; Piane e S. Cuore, 1958; S. Croce, 1965; e SS. Trinità, 1970).

EDIFICI DI CULTO

Molte sono le chiese scomparse o comunque non più aperte al cult S. Angelo (di incerta memoria, sec. XVI-XIX), dell’Annunciazione di Maria o di S. Gaetano (già di casa Piovene, demolita nel 1919), della Concezione di M.V., delle Dimesse di Schio (1598-1810), SS. Cristoforo, Francesco e Carlo (1611-1807 o 1810), S. Filippo Neri (sec. XVIII-1806), S. Maria della Neve o del Castello (sec.XV-1810).

Chiesa parrocchiale:

Duomo di San Pietro apostolo (+ 6 gennaio 1820). La navata centrale dell’attuale edificio, ultimo di quelli che si susseguirono sul Gorzone, fu pagata dalla comunità scledense. Disegnata dal bassanese Giovanni Miazzi, risale al 1747-1769; l’ampio presbiterio e la sagrestia, invece, furono costruiti tra il 1770 e il 1790 su disegno di don Domenico Cerato. Il prònao (1803-1819) fu ideato da Antonio Diedo. Nel 1877, dato l’incremento demografico della città, Alessandro Rossi commissionò ad Antonio Caregaro Negrin le navate laterali e la canonica. Decorato secondo il gusto artistico del primo Novecento attorno agli anni Trenta del nostro secolo, fu riportato allo splendore originario grazie ai lavori di restauro terminati nel 1989. All’interno si conservano pregevoli opere d’arte, tra cui quattro tele di Alessandro Maganza. In canonica, tra gli altri, si conserva una tavola ad olio, firmata e datata 1520 da Jacopo Palma il vecchio.

Altre chiese:

  1. Nicolò(Cappuccini): chiesa rettoriale(+ 24 settembre 1602). Già esistente nel secolo XIII e sede di un gruppo di penitenti, fu ceduta dal Comune ai cappuccini con deliberazione del 1536. Soppresso il convento nel 1769, fu ridotto ad abitazione privata, mentre la chiesa rimase sempre aperta per la S. Messa festiva. Riacquistata dall’arciprete mons. Mantiero nel 1928, fu officiata da un rettore, fino al ritorno dei Cappuccini nell’aprile 1946, cui fu affidata la cura della rettoria. Nella semplice chiesetta, restaurata nel 1955, oltre a opere dello scledense Giuseppe Pozzolo, si trova un bell’altare in legno intagliato e dorato con la pala di Alessandro Maganza (1597) S. Nicolò con i ss. Francesco, Chiara, Caterina d’Alessandria e Lorenzo (riportata di recente al pristino splendore).
  2. Roccosullo sfondo di via Petitti di Roreto, costruita prima del 1526, fu restaurata all’interno nel XVIII sec.; la facciata e il campanile ottagonale, ricostruiti da Antonio Caregaro Negrin fra il 1862 e il 1864, sono stati oggetto di lavori di restauro conclusisi nel 1986.
  1. Maria incoronatacostruita nel 1716 da Girolama Rossi della compagnia delle Dimesse di Schio e da lei dotata con testamento del 2 agosto 1730. Restaurata nel 1919, nel 1936 l’altar maggiore originario “ricco di statue, raffigurante (il gruppo principale) l’Incoronazione della Vergine” fu sostituito dall’attuale.
  1. Martinodi origine assai antica e alla quale fu dai benedettini di S. Felice, in epoca imprecisabile, annessa una “cella” o priorato che sopravvisse fino alla soppressione napoleonica. All’interno i lavori di scavo e restauro compiuti tra il 1963 e il 1964, a seguito del crollo del baldacchino sull’altare, che ruppe il dipinto su tavola del sec. XV raffigurante la Madonna in trono con ai lati i ss. Sebastiano e Martino, hanno permesso il completo recupero della fascia decorativa ad affresco sulla parete di fondo, prima parzialmente occultata dal muro della sacrestia. L’ignoto autore va cercato nell’ambito delle correnti romagnole operanti in Veneto tra ‘300 e ‘400 e forse è lo stesso maestro che affrescò le pareti di S. Agostino a Vicenza. Nel suo campanile si trova una campana del 1492, la più antica dei dintorni.
  1. Maria in Valledi origine certamente quattrocentesca: infatti due testamenti, uno del 1477 e l’altro del 1482 stabiliscono elemosine per il restauro dell’altare e l’acquisto dell’olio per una lampada votiva. Il testamento (1511) del pittore scledense Leonzio de Taioli figlio di Giampietro con la richiesta di dipingervi un’immagine della Madonna dello spasimone provocò la trasformazione prima del 1580 in un’ecclesia, in cui si venerava un’immagine della Madonna defonta, eseguita da “un allievo del Montagna” o Giacomo Gualtieri. Restaurato nel XVIII secolo dal cronista scledense Giacomo Pozzolo il sacello fu nuovamente oggetto di lavori nel 1906; fra il 1968 e il 1969 accurati lavori di restauro hanno permesso il recupero di alcuni affreschi antichi. Il dipinto cinquecentesco, però, ridottosi a pochi lacerti, era già stato sostituito nel 1814 dall’affresco del Transito di Maria, opera dello scledense Antonio Dal Bianco.

San Francesco con l’annesso monastero dei minori osservanti (+ 15 luglio 1442). La prima attestazione dell’erezione della chiesa è del 1424, quando, a seguito della predicazione dell’osservante Vincenzo da Cori, si iniziò la costruzione di una domum cum ecclesia, coemeterio et officinis. Ostilità e problemi sorti con il vescovo di Vicenza e il clero scledense provocarono una stasi nei lavori, che ripresero con alacrità a partire dal 1436, come dimostrano i numerosi lasciti testamentari. Nel 1450 vi fu costruita la cappella in onore della Vergine con le tombe di Alessandro fu Matteo Pigafetta e della moglie. Già nel 1503 si avvertì la necessità di ingrandire la chiesa (testamento di Bortolo de Zambonis), ma, costruiti gli stalli del coro nel 1504, si dovette aspettare fino al 1520 per vedere la fine dei lavori con la costruzione della navata laterale. Il convento osservante fu definitivamente soppresso nel 1810.Molti sono i capolavori presenti nella chiesa o nel chiostro, e tutti meriterebbero un cenno, tra tutti, però, è degna di menzione la grande pala dello Sposalizio mistico di s. Caterina d’Alessandria, dipinta nel 1512 da Francesco Verla, restaurata nel 1997; allo stesso pittore o a Giovanni Speranza va ascritto la fascia ad affresco posta sotto le capriate. Nel 1998 la chiesa è stata dotata di un nuovo organo della ditta F.lli Ruffatti di Padova.

Sacra Famiglia delle canossiane. Questa chiesa, che ripete il modello del Pantheon di Roma ridotto ad un terzo delle sue dimensioni fu progettata da Bartolomeo Folladore l’8 giugno 1850. Interrotti i lavori per mancanza di fondi, la costruzione fu completata dal figlio Gioacchino tra il 1899 e il 1901, quando fu solennemente inaugurata il 13 giugno. L’interno, restaurato nel 1992, ospita l’urna con le reliquie di santa Giuseppina Bakhita.

  1. Antonio abate(+14 agosto 1929). Fu fondata con il testamento di Iohannes dictus Robinusdi Schio nel 1449, ma i lavori procedettero molto lentamente; ma nel 1493 erano di sicuro finiti. Accanto a questa chiesa tra il 1492 e il 1499 fu istituito un monastero femminile, in cui dal 1498 appaiono le monache agostiniane, forse provenienti dal monastero vicentino di S. Tomaso. Soppresso una prima volta il 25 aprile 1810, il cenobio fu ricostituito nel 1839 e negli anni 1834-1839 fu ricostruita la chiesa. Solo l’intervento di Alessandro Rossi e Antonio Toaldi impedì che l’annessione del Veneto al regno d’Italia segnasse un nuovo esodo delle religiose nel 1867.

Nel 1879, nel complesso dei lavori per il Nuovo quartiere operaio di Alessandro Rossi si costruì la chiesa attuale su progetto ad Antonio Caregaro Negrin. Edificata abbastanza rapidamente, i lavori di decorazione si protrassero per 50 anni. Al suo interno la cappella di s. Agostino ospita un altare attribuito ai Marinali in cui si trova la pala della Madonna della cintura, opera di Antonio Zanchi, restaurata nel 1996. Tra il 1996 e il 1997 l’esterno della chiesa fu sottoposto a lavori di restauro.

  1. Giacomola costruzione di questa chiesa risale agli inizi del XV secolo e fin dalle origini essa fu legata alla confraternita dei Battuti, che lì vicino edificarono il proprio xenodochio (Domus Dei) Nel 1408 la chiesa non era ancora consacrata; lo era nel 1436, quando un testatore lasciava 43 lire in reparatione Domus Dei. Dopo la soppressione dei Battuti nel 1810, la chiesa passò alla congregazione di Carità e fu sottoposta a pesanti interventi che ne modificarono completamente l’aspett nel 1836 fu edificata l’attuale facciata classicheggiante; tra il 1868 e il 1902 Valentino Pupin e Tomaso Pasquotti dipinsero le tele dei Dolori della Vergine; nel 1881, usando anche qualche parte del vecchio altare, si costruì l’attuale altare maggiore, dedicato all’Addolorata; nel 1896 si decorarono nuovamente il soffitto e le pareti; nel 1901 si rifece il pavimento. Acquistata dalla Parrocchia negli anni cinquanta fu di nuovo manomessa e privata dell’intero arredo interno (altari laterali, spalliere, ecc.). L’intero edificio e il ciclo dei teleri dedicati ai dolori della Vergine sono stati restaurati nel 2000.Accanto alla chiesa si trovano la quattrocentesca loggetta dello xenodochio e un aguzzo campanile del 1602, unici resti del complesso dei Battuti.

EDIFICI E STRUTTURE MATERIALI

Palazzo Boschetti, parrocchiale, con 15 locali; Casa “S. Angela”; bar “S. Giacomo” (5 locali) con bocciodromo, parrocchiali; palazzetto dello sport “don Bosco” dei padri salesiani; istituto canossiano delle suore canossiane; istituto San Giuseppe delle suore Piccole figlie di san Giuseppe; Colonia alpina parrocchiale “S. Giovanni Bosco” a Bosco di Tretto.

In canonica ha sede l’ARCHIVIO E BIBLIOTECA DEL DUOMO DI SCHIO, che raccoglie il ricco archivio storico parrocchiale e una biblioteca forte di più di undicimila opere.

INTEGRAZIONE BIBLIOGRAFICA

PERIODICI

1- “Bollettino del Duomo – S. Pietro – Schio”, 1(1978) –

2- “Concordia. Periodico dell’unione ex allievi salesiani di Schio”, 1(1970) – 23(1993)

3- “Concordia. Vita, iniziative associazioni dell’oratorio salesiano”, 23(1993) – 

OPERE

1- 1879-1979. Duomo di San Pietro. Schio. Contributi commemorativi nel centenario delle opere di ampliamento, Schio, ed. del Duomo, 1979

2- L. ALESSANDRI, La chiesa di San Francesco a Schio, Schio, ed. Lions club, 1996

3- R. BORTOLI, Breve profilo storico dell’Azione cattolica scledense. Prima parte (dalle origini al 1940), Schio, ed. della sez. di S. Pietro dell’Azione cattolica italiana, 1996

4- R. BORTOLI, Il beato Giuseppe Baldo e la Casa della carità Maria Pancera a Schio (1913-1989), Schio, ed. del “Centro di cultura card. Elia Dalla Costa”, 1991

5- R. BORTOLI, Presenza costante ed operosa delle suore canossinae a Schio (1864-1988), Schio, ed. del “Centro di cultura card. Elia Dalla Costa”, 1989

6- Duomo di San Pietro. Schio. Breve guida, Schio, ed. del Duomo, 1986

7- Il novantesimo della presenza salesiana in Schio. 1901-1991, Schio, ed. del “Centro di cultura card. Elia Dalla Costa”, 1991

8- S. PIOVANELLI, Il cardinale Elia Dalla Costa Vangelo vivente. Commemorazione svolta nel XXX anniversario della morte, Schio, ed. del Duomo e del “Centro di cultura Elia Dalla Costa”, 1992

9- C. RIGONI, I codici miniati della chiesa di S. Francesco a Schio, Schio, ed. del Comune, 1987.

10- S.R SALA, Le monache agostiniane a Schio, Schio 1988

11- Schio e Alessandro Rossi. Imprenditorialità, politica, cultura e paesaggi sociali del secondo ottocento, a cura di G. L. FONTANA, 2 voll, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 1985

12- Schio. Vita cultura economia, Schio, ed. A.S.G.E.S., 1981

13- Statuti del comune di Schio 1393, a cura di GIORGIO ZACCHELLO, Schio, ed. del Comune, 1993

14- F. ZORZI, Dipinti restaurati in S. Francesco di Schio. Con alcune notizie del pittore Giuseppe Pozzolo, Schio, ed. del Comune, 1984

ARTICOLI SU MISCELLANEE

1- L. DALLE MOLLE, Mons. Girolamo Tagliaferro arciprete di Schio (1932-1957), in Onus istud a Domino. Il magistero pastorale di Arnoldo Onisto vescovo di Vicenza. Studi di storia e di arte vicentina in onore del suo giubileo sacerdotale, Vicenza 1984, p. 227-239.

2- M. NARDELLO, Tratti della personalità e della pastoralità di mons. Elia Dalla Costa nella vita socio-religiosa di Schio, in Pagine di cultura vicentina. Scritti in onore di Gianni Conforto, Schio 1987, p. 251-270

Scritti relativi alla storia religiosa, sociale o artistica della parrocchia appaiono poi con costanza sulla miscellanea annuale “Schio. Numero unico” [1(1961) – ], di cui, a partire dal 1984 è pubblicato un indice con breve riassunto degli articoli apparsi dal 1961.